Design significa ideazione e progettazione di oggetti d’uso, da prodursi in serie, secondo forme esteticamente valide in rapporto alla funzionalità dell’oggetto. Fare il designer, invece, significa essere Mr. Wolf. Avete presente Pulp Fiction? Il personaggio flemmatico e a tratti inquietante che vi suona alla porta asserendo: “Sono il signor Wolf, risolvo problemi. Posso accomodarmi?”
Il cliente è sempre Jimmie Dimmick, ha un problema, non sa come risolverlo e ha bisogno del designer. Ma come si fa a diventare designer? Bisogna fare una scuola? Si può imparare da autodidatta?
Define: individua il problema e studia la soluzione
A questo punto del post avete capito che il designer è Mr. Wolf, la Huston da chiamare in caso di problemi ma, non ho ancora risposto alle domande cruciali che la maggior parte di chi vorrebbe fare questo lavoro, si pone. Per fare il designer bisogna possedere una mente eclettica, elastica, molto razionale e anche analitica. Il designer sa che Jimmie ha un problema e, prima di tutto, deve individuare la cosiddetta Define: comprensione appieno del problema del progetto. Articolare il problema di progettazione, stabilire un obiettivo chiaro su cui lavorare, che lo guidi verso la soluzione.
Un vero designer definisce il cliente, individua il problema, mette da parte il gusto personale per comprendere i desideri e le difficoltà delle persone a cui i prodotti sono destinati. Ancor prima di se stesso, del prodotto o azienda che deve “servire”, sa che c’è il consumatore, il cliente finale, l’utente. Deve stabilire quindi un approccio metodico e user-centric. Non importa se non gli piace il menu di un sito web a destra, perché nel 2010 qualcuno disse che non era intuitivo. Se nel 2019 la maggior parte dei siti web lo hanno riposizionato in quella posizione e ci si aspetta di trovarlo lì, il designer deve metterlo lì! Users first.
Design for dummies o design for excellence
Per imparare a fare design bisogna fare una scuola? C’è lo IED, c’è il NABA, ci sono corsi, corsetti, for dummies e persino animali fantastici e dove trovarli. Se quelli che ce l’hanno fatta, che sono diventati qualcuno, che ricordiamo con il nome e riconosciamo nei progetti sono usciti dalle prime due scuole, la risposta ve l’ho già data.
Si può imparare da autodidatti? No! Il design ha tanti rami, come la medicina, si studia genericamente e poi ci si perfeziona scegliendo chirurgia, ortopedia, laringoiatria. Il design funziona allo stesso modo.
Da autodidatti si impara a usare benissimo i software per la grafica. Si diventa mostri nell’uso di Photoshop o di Illustrator. Si impara a usare WordPress e modificare il codice CSS, ma si ignorano completamente le basi della progettazione. Forse per pigrizia nell’andare più a fondo della questione, per ignoranza (alla latina), per arroganza: “che mi importa di sapere se ci sono regole se so usare Illustrator e il risultato finale, sembra lo stesso?”.
Voi fareste costruire la vostra casa a un muratore che non sa nulla di architettura o di ingegneria? Vi fareste otturare un dente da un odontotecnico? Perché quindi dovreste farvi fare un logo o un sito, da chi non ha idea che esistano la sezione aurea, le griglie, i punti, le linee e le superfici?
Ho visto e avuto “colleghi” e stagisti che una volta su cinque azzeccavano un logo, ma le restanti tre? Accensione del computer, avviamento di Illustrator o di Photoshop, a seconda dell’abilità acquisita, progettazione direttamente da software, senza capo né coda o idea di cosa ci fosse dietro. Il risultato sembra fighissimo, sul monitor. Un logo pazzesco, un flyer micidiale. Il logo funziona alla perfezione se messo sul sito web ma poi, il cliente, sorprendentemente decide, per Natale, di regalare ai propri clienti delle penne brandizzate: il disastro. Il logo, ops, non è stampabile, non si capisce una ceppa! Dove cavolo ho sbagliato? Si chiede lo pseudo designer. Ha sbagliato a non considerare proporzioni, scala e dimensioni di quell’oggetto. Sì, il logo è un oggetto, non è solo un disegnino sul monitor!
Themeforest® dei coltelli volanti
Jimmie ha bisogno di un sito, digita su google: “siti web economici”, spunta Dummy! Contatto, mail, accordo, to go!
Dummy va su Themeforest®, naviga una mezz’oretta e individua due fantastici temi, controlla che ci sia il visual composer, legge le recensioni, invia a Jimmie i link. Jimmie sceglie, Dummy inizia a installare WordPress, il tema e a inserire i contenuti e modificare qua e là, il css.
Jimmie monitora il corso del progetto, vuole la gallery prima del content, il tema non lo prevede. Dummy usa il visual composer e sposta la gallery. Jimmie controlla da mobile e manda lo screenshot a Dummy, il sito non si visualizza più correttamente.
Dummy entra nel panico: il tema fa schifo. Prende tempo e scrive agli sviluppatori che non se lo filano nell’immediato. Passa un giorno, due giorni, una settimana, Dummy ha le mani legate, Jimmie lo bracca. Mr. Wolf se la ride.
Dummy ha imparato a usare il visual composer, Dummy ignora le griglie e non sa modificare il php. Dummy non è né un designer né uno sviluppatore. Dummy ha truffato Jimmie!
Ho studiato design e sviluppo e me la tiro
Qualche settimana fa alla ctrl+f (la mia web agency) riceviamo un messaggio, al quale non ho risposto personalmente, mi sono mancate le lettere sotto le dita. Me la sono tirata, un sacco. Era Dummy.
Un cliente dopo aver avuto a che fare con il Dummy di turno ci ha chiamate, il tema era pieno di bug, ma noi siamo Mr. Wolf.
Sì, abbiamo studiato. No, non ci siamo improvvisate. Nessuna mail agli sviluppatori, vai di codice, vai di griglie, vai di teoria e di messa in pratica, problemi risolti, messa online.
Perché non ho risposto a Dummy?
Perché quel quarto d’ora che avrei impiegato a spiegargli che esiste il PHP, che è come l’HTML, che si può modificare, correggere e sistemare, l’ho dedicato alla mia pizza marinera (si scrive così, non è un refuso) seduta comodamente in zona Pigneto.
Perché non gli ho risposto il giorno dopo?
Perché avevo un altro Jimmie da soddisfare.
Dummy non dovrebbe commentare senza conoscere, Dummy dovrebbe studiare.